La Suprema Corte ha di recente affrontato un caso di scioglimento di una convivenza more uxorio.
Nel caso di specie, i conviventi avano costruito la casa di abitazione con il lavoro e l'apporto economico di entrambi e la Cassazione affronta diversi interessanti punti di diritto.
Per quanto riguarda, nello specifico, i contributi forniti dai conviventi, in lavoro o in natura, volontariamente prestati per la realizzazione della casa comune, la Suprema Corte ha statuito che essi non devono considerarsi prestati a vantaggio esclusivo dell'altro partner, quindi non sono qualificabili come adempimento di un'obbligazione naturale e non si sottraggono alla operatività del principio generale della ripetizione di indebito.
Sul punto ancor più specifico del conto corrente cointestato, muovendo da questo principio, la Suprema Corte afferma che deve presumersi che entrambi abbiano contribuito a determinare l'ammontare del deposito in parti uguali e quindi, al momento dello scioglimento della convivenza, ciascuno di essi ha diritto all'attribuzione del 50% delle somme presenti sul conto, a meno che una delle parti non dimostri una diversa misura dei conferimenti.
Cass. civ. Sez. III Ord., 07/06/2018, n. 14732
La Suprema Corte, con questa recente pronuncia, ha stabilito che l'azione di rendiconto può presentarsi distinta e autonoma rispetto alla domanda di scioglimento della comunione, ancorché l'una e l'altra abbiano dato luogo ad un unico giudizio, quindi le due domande possono essere scisse e ciascuna può essere decisa separatamente senza reciproci condizionamenti.
Nel caso di specie, infatti, il Giudice del merito aveva ritenuto inammissibile la domanda di rendiconto in quanto non proposta nel giudizio di divisione ereditaria ed una volta definite le operazioni divisionali
Ne consegue che l'azione di rendiconto può essere proposta anche autonomamente ed anche nell'ipotesi in cui non siano definite le questioni pertinenti alla divisione ereditaria.
Cass. civ. Sez. II Ord., 16/07/2018, n. 18857
La Cassazione fa il punto sui rapporti tra azione di divisione e domanda di usucapione, stabilendo che il condividente che si ritenga proprietario per usucapione di un bene appartenente alla comunione non può iniziare il giudizio di divisione e, qualora sia stato in questo convenuto da uno o più degli altri comproprietari, deve far valere l'avvenuta usucapione in tale giudizio poiché la divisione, accertando i diritti delle parti sul presupposto di una comunione di beni indivisi, può attuarsi solo previso riconoscimento dell'appartenenza delle cose in comunione.
Ne consegue, ulteriormente, che il condividente che non contesti il diritto alla divisione di quel determinato cespite o resti contumace non può opporre successivamente l'usucapione al condividente cui detto bene sia stato assegnato o al terzo aggiudicatario dello stesso in seguito a vendita all'incanto.
Cass. civ. Sez. II Sent., 13/06/2018, n. 15504
martedì, 31 luglio 2018 /
La Suprema Corte torna ad affrontare l'argomento della società tra avvocati alla luce della nuova disciplina di cui all'art. 4 bis della Legge n. 247/2012, introdotto dall'art. 1, comma 141, della Legge n. 124/2017 e poi ulteriormente integrato dalla Legge n. 205 del 2017.
Dopo un excursus della normativa via via susseguitasi nel tempo, la Suprema Corte stabilisce che dal 01/01/2018 è consentita la costituzione di società di persone, di capitali o cooperative i cui soci siano, per almeno due terzi del capitale sociale e dei diritti di voto, avvocati iscritti all'albo, ovvero avvocati iscritti all'albo e professionisti iscritti in albi di altre professioni, società il cui organo di gestione deve essere costituito solo da soci e, nella sua maggioranza, da soci avvocati.
Cass. civ. Sez. Unite, 19/07/2018, n. 19282